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La dipendenza da Internet e la persuasione interpersonale di massa.

Il termine inglese “addicted” viene tradotto come “dipendenza”.
In ambito psichiatrico la dipendenza è una patologia caratterizzata da un uso non controllabile, continuativo e rischioso, di sostanze o ripetizione di comportamenti negativi, nonostante le prevedibili gravi conseguenze degli stessi.

Questo libro indaga una particolare forma di dipendenza, quella da Internet e, nello specifico, dai social media.

In poco più di un decennio, da quando internet si è fatto mobile e i telefoni intelligenti, l’autrice spiega come siamo diventati “addicted”, dipendenti appunto da questi oggetti e dai servizi offerti.Ma la responsabilità non va ricercata solo nelle nostre cattive abitudini o nella nostra poca forza di volontà.
È la tecnologia stessa a essere progettata per essere addictive, per aumentare il numero di ore che passiamo sui social network e per guidarci nelle

nostre scelte e influenzare i nostri desideri.
Attraverso la fusione tra tecnologia e psicologia, l’industria più potente al mondo sta plasmando le nostre vite, rendendoci sempre più dipendenti da app, telefoni e social network.
Tutto questo non perché ci manchi la volontà o perché tali strumenti siano indispensabili alle nostre vite, ma proprio perché i dispositivi sono appositamente progettati per renderci dipendenti.
L’industria tecnologica ha incorporato strumenti potentissimi e li ha messi a servizio dei propri clienti, sfruttando la psicologia, le debolezze, la fragilità dei nostri meccanismi di difesa; nonché il conformismo, le mode, il consumismo.

I cosiddetti software attitudinali o behavioral change software, software di ‘cambiamento comportamentale’ sono studiati e realizzati affinché ognuno che agisca in un certo modo, sperimenti certe sensazioni e voglia poi riprovarle facendo la stessa azione, sotto la spinta di una sostanza chimica organica, la dopamina, che funziona nel cervello come neurotrasmettitore.
La dopamina viene rilasciata dai neuroni e attraversa piccoli spazi tra ciascun neurone, le sinapsi, per inviare segnali dal sistema nervoso centrale. Esistono molti percorsi della dopamina nel cervello, ma uno è specificamente legato alla componente motivazionale dei comportamenti basati sulla ricompensa. In parole povere, quando qualcosa ci dà piacere, quando facciamo una bella esperienza, il cervello rilascia dopamina.
L’industria tecnologica stimola il rilascio di dopamina usando gratificazioni e ricompense istantanee come i like, i cuori, i tag, le notifiche. Le persone gratificate dai cuori e dai like desiderano riceverne di nuovo, sono contente del loro successo: di conseguenza, trascorrono più tempo sui social media.

Applicazioni e programmi sono, quindi, creati appositamente per spingerci a compiere di continuo e sempre con maggior frequenza le stesse azioni: controllare di continuo il telefono, accedere ogni pochi minuti alla nostra pagina Facebook o profilo Instagram, verificare messaggi, rispondere a notifiche…

Queste abitudini creano seri disturbi sia a livello personale che sociale, tanto che negli Usa, nell’agosto del 2019, il senatore del Missouri Josh Hawley ha depositato il cosiddetto Smart Act, acronimo di Social Media Addiction Reduction Technology Act1. Si tratta di una proposta di legge per “impedire ai social media di utilizzare pratiche che sfruttino la psicologia umana e le caratteristiche del cervello per limitare la libertà di scelta, e per richiedere alle aziende del settore azioni concrete per mitigare il rischio di dipendenze da Internet e il rischio di sfruttamento psicologico”.

Qualcosa di simile è avvenuto anche in Italia, con la presentazione del disegno di legge n.C. 1840 – 18° Legislatura, che richiede interventi su tutte le caratteristiche “persuasive” (dalla c.d. “persuasione interpersonale di massa”, incentrata sul “cambiamento dei pensieri e dei comportamenti delle persone”, come spiega B.J. Fogg, professore al Persuasive Tech Lab dell’università di Stanford): l’autoplay dei video, lo scroll infinito senza interruzione, la bottomless bowl, l’uso di ricompense dopaminiche per premiare un alto tasso di interazione sulla piattaforma…

Proprio in questo ddl si accenna alla “nomofobia”, un neologismo per indicare “no mobile phone”, cioè il terrore di essere senza cellulare.
Si parte dalla considerazione che “diversi segnali segnano il confine tra un uso controllato e consapevole e un uso incontrollato della rete della telefonia mobile, sintomo di una vera dipendenza” tra cui “vivere stati di ansia e di nervosismo al solo pensiero di perdere il proprio telefono cellulare o quando esso non è disponibile o non utilizzabile; l’uso continuo del telefono cellulare e il trascorrere molto tempo con esso; il monitoraggio costante dello schermo del telefono cellulare, per vedere se sono stati ricevuti messaggi o chiamate, o della batteria, per controllare se il telefono è scarico; il mantenere il telefono cellulare acceso sempre (24 ore al giorno) e l’andare a dormire con il telefono cellulare o con il tablet”…
Una dipendenza a tutti gli effetti, quindi, come quella da alcolici o stupefacenti.